Giovanni Scanavacca
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“Occhi di ghiaccio” pretendeva da tutti l’impossibile, marito compreso e, a fronte dell’apparente serenità, quel luogo nascondeva rivalità inconfessabili e conflitti mai risolti.
Per questo la lettera di Franco costituì un piacevole diversivo.
Era la prima volta che le succedeva di rientrare stanca a casa sperando in un messaggio.
Avevano conservato l’abitudine a scriversi perché le telefonate con i satellitari erano sempre frettolose e spesso interrotte per motivi tecnici
“Il bello delle lettere è che si possono scrivere piano piano e leggere “a bocconcini” come i dolci più buoni.” Le aveva scritto una volta Franco dalla Bosnia, lasciando trasparire una serenità e una pace da notte di luna piena in riva al lago. E il fatto che quella lettera fosse stata scritta nella penombra di una postazione avanzata sotto un bombardamento era rimasto un segreto gelosamente custodito.
La nuova missiva non sfuggì al destino di tutte quelle che l’avevano preceduta e fu letta poco a poco.
A brani piccoli Laura ne imparò a memoria il contenuto tanto da saperlo ripetere anche in seguito ad ogni rievocazione degli avvenimenti di quello e dei giorni seguenti.
“Cara Laura,
il tramonto qui è sempre un avvenimento. Montagne, neve e, giù a valle, il deserto. C’è un fascino selvaggio e misterioso in questo luogo inospitale eppure attraente.
C’è vento qui. È il vento del deserto che la gente vuole custode di molti segreti. I bambini lo conoscono e lo aspettano perché il vento, dispettoso, può essere un buon compagno di giochi. Ci sono molti bambini qui, ma di loro ti parlerò dopo...”
Anche nella casa sulla collina c’era, doveva esserci un bambino. Laura lo aveva intuito da piccole tracce fugaci che Anna faceva scomparire in fretta. Lo aveva immaginato al momento dell’assunzione, considerando ciò che aveva scritto sul curriculum, ma poi aveva pensato di doversi ricredere.
“Oggi si occuperà del guardaroba.”